11 marzo 2012

Incontri (non troppo ravvicinati) di qualche tipo

Camminare in una domenica pomeriggio abbastanza calda ma non troppo. Scegliere una zona un pò defilata di Torino, in modo da non incappare nella folla che si stipa masochisticamente in centro (ecco, se dovete venire in città, non fatelo di domenica). Continuare, passo dopo passo, quella che per me sta diventando una vera e propria riscoperta di un posto in cui vivo da ormai quattordici anni senza conoscerlo davvero. Evitare con cura Piazza Vittorio, invasa da centinaia di formiche brulicanti che si ammassano intorno a banchetti inbellettati che vendono cioccolato di bassa qualità, alla ricerca di "qualcosa a livello di degustazione" (che poi è un altro modo di chiedere se c'è qualcosa di gratis, tanto per intenderci). La mia meta di oggi è stata quindi il quartiere San Salvario.
Dove, tra l'altro, ho incontrato un signore simpaticissimo. Ero tutta impegnata a fotografare la facciata della chiesa Sacro Cuore di Maria, quando da dietro di me sento qualcuno che dice: "Ma lei lo sa che quella è del 1700?". Abbasso la fotocamera, lo guardo. Un arzillo vecchietto (ottantatreenne, ci tiene a dirmi), ben vestito e ben piantato, mi indica la chiesa e inizia a farmi uno spiegone megagalattico sull'architettura di Torino. Mi parla di Superga, di Juvarra, delle chiese gemelle di Piazza San Carlo, dei Savoia e via dicendo. E tra un capitello e un rosone, mi infila pezzi della sua vita. Mi dice che è stato invitato a pranzo e che ha bevuto qualche bicchiere ("Ma non abbia paura, signorina, non sono ubriaco"), che è originario della Calabria e che vive a Torino da cinquant'anni. Mi dice che tanti torinesi non sanno quello che hanno. In effetti è vero: io stessa non avevo mai visto il Sacro Cuore di Maria. Mi chiede scusa per il disturbo (io lo ringrazio di cuore, invece), ci stringiamo la mano e in un attimo è già sparito, forse ingoiato da uno dei tanti portoni che si aprono ritmicamente lungo la via, una via con un nome bello, adatto a quel momento: via Belfiore.
Il quartiere di San Salvario è decisamente uno dei più originali della città, il più multietnico e variegato per stili e modi di vivere. Se già avevamo fatto un accenno (qui) parlando della bellissima Sinagoga ebraica, vediamo ora di parlarne in maniera più approfondita, perchè ne vale la pena.
"Intorno alla  metà del '600 vengono edificati la chiesa di San Salvatore, da cui prende il nome, e il castello del Valentino, residenza della Madama Reale Maria Cristina di Francia. Intorno al 1860 viene costruita la stazione della ferrovia per Genova, l'attuale Porta Nuova.  Uno degli ultimi episodi importanti dello sviluppo è costituito dalla nascita della Fiat nel comprensorio di corso Dante. Il borgo, nonostante un significativo insediamento industriale e operaio, non assunse mai le caratteristiche di "barriera": la popolazione era ed è tuttora mista e varie sono le attività del quartiere, che si sviluppa commercialmente tra i poli del mercato di piazza Madama Cristina (il secondo di Torino per importanza) e il grande comprensorio di commercio all'ingrosso dei "Doks" di corso Dante. Possiede inoltre un ricco tessuto associativo. Qui convivono poi quattro religioni e i loro templi: le chiese cattoliche, il tempio valdese, la sinagoga, le sale di preghiera musulmane. Nonostante ancora permangano, in zone circoscritte, fattori di degrado edilizio, sociale e commerciale - che determinano talvolta disagi negli abitanti, situazioni di conflittualità e un'immagine negativa del quartiere - la grande la capacità di San Salvario di mettersi in gioco e rinnovarsi lo ha reso negli ultimi anni un luogo privilegiato per l'interculturalità e per la progettazione partecipata di politiche locali che tendono a favorirne il carattere plurisecolare di territorio di incontro tra le genti" (Fonte: http://www.sansalvario.org/).
E' vero, quando ad un torinese viene nominato San Salvario, se non ci abita arriccia il naso. Perchè proprio come abbiamo detto prima, la multiculturalità e l'evidente stato di degrado di alcuni palazzi e cortili, porta molto volte a vedere questa parte di città come un posto sporco, pericoloso, non bello. Ma se si vuole visitare una città, secondo me, bisogna vederne ogni parte, non solo il patinato centro che, al di là dei senza dubbio bellissimi monumenti, offre al turista una sorta di centro commerciale a cielo aperto, pieno di negozi uguali tra di loro, che non raccontano niente della città.
E poi, multiculturalità vuol dire poter scegliere. Al di là dei tantissimi negozi, delle centinaia di botteghe che resistono immutate nel tempo, così com'erano una volta, al di là dei tanti ristoranti italiani di varie regioni, c'è un arcobaleno di cibi differenti che possono essere gustati nello spazio di poche vie. Ti va di mangiare indiano? C'è. Ti va di mangiare peruviano? C'è. Ti va di mangiare egiziano, brasiliano, giapponese, cinese, greco, messicano, eritreo, argentino o filippino? Ci sono tutti.
Nei locali che tengono aperto fino a tardi trovi concerti di gruppi locali emergenti e in orario preserale puoi gustare un fantastico e abbondante aperitivo alla maniera di Torino (una vera e propria cena, da tanto che mangi). E poi, come dimenticarlo? A due passi da San Salvario, se continui a caminare arrivi al Parco del Valentino, dove, soprattutto la domenica, incontri tutta quella parte di cittadini che ama stare all'aria aperta: c'è chi fa jogging, chi va in bici con la famiglia, chi tenta il record sul giro pedalando a velocità assurdamente pericolose, chi cammina con le braccia dietro la schiena, chi prova i roller nuovi e si spalma sull'asfalto, chi legge un libro seduto su una di quelle panchine verdi, di legno, tutte incise dai ragazzini innamorati, chi si affitta un risciò (si scriverà così?!) a pedali e guarda il Po da lì. E allora se guardi bene, vedi che San Salvario, che confina e lambisce il viale del parco, si riversa lì, la domenica: quando persino i cinesi non lavorano, quando i tunisini non devono aprire il banco del mercato, allora vanno lì anche loro e si godono il sole, come ho fatto io camminando per San Salvario.


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