25 marzo 2012

Luoghi che c'erano e ci sono ma non esistono più

Ricordo vagamente quella giornata. C'è anche una foto: io e mio fratello maggiore davanti ad una rete metallica o una gabbia, qualcosa del genere. Dentro un animale che potrebbe essere un cervo o una capra. O un dinosauro, per quanto ne so. Io avevo una bella gonna di blue jeans ondulata, una maglietta chiara e i codini. Adoravo quando mamma mi faceva i codini e me li fermava con degli elastici fatti a ciliegia. Ci penso, ma non mi viene in mente altro che un'immagine: le scimmiette. Una che puliva delicatamente l'altra, mangiandosi poi il risultato della spulciatura. Ricordo che mi avevano detto essere un gesto di profondo amore, per i primati. Ma non ricordo altro. Forse un ippopotamo che prendeva al volo un pesce. Ma chissà se queste immagini che mi colpiscono il cervello arrivano da dentro o da fuori. Chissà se davvero ricordo quel pomeriggio di tantissimi anni fa, passato allo zoo di Torino, Parco Michelotti, o se tutto è ricordo indotto dalle fotografie, da quelle immagini sgranate di un tempo che passa, passa e non torna indietro.
Ora, detto ciò urge una precisazione. Non amo gli zoo. Forse non li amavo nemmeno al tempo di quella fotografia, di certo non li amo adesso. Come non ho mai amato il circo che contempli la presenza di animali. Quindi, tutto sommato, che io di quella giornata ricordi soltanto due scimmie che si tolgono le pulci è tanto di guadagnato. Ma mi è successo di tornare in quello zoo dopo più di vent'anni. E, lo sapevo, ma non c'è più nulla. E se prima poteva essere triste, per via della segregazione forzata di tanti animali, adesso, se è possibile, è ancora più triste. Là dove c'erano le ontarie c'è un'enorme vasca vuota, là dove c'erano le tigri regna il silenzio. In ogni angolo del parco è il graffito che regna sovrano: scritte di protesta, scritte di denuncia, scritte di cerebrolesi hanno riempito le pareti del rettilario, le statue della balena, degli orsi, dei pinguini, risparmiando appena le giostre messe lì posteriormente per i più piccoli. Le panchine sulle quali ci si sedeva per vedere i salti in aria dei delfini, per guardare con calma gli elefanti, sono piene di foglie secche, ragnatele, polvere accumulata da un tempo infinito e da un abbandono totale. Chissà quante risa hanno scosso questi angoli, chissà quanti bambini hanno gridato: "Papà, guarda!" per anni, me compresa, indicando qualcosa che non avevano mai visto e forse non avrebbero visto mai più, fino a che ogni grido, ogni risata, non è stata inghiottita dal silenzio. Ci sono ancora i cespugli di canne di bambù e gli alberi su cui si arrampicavano le scimmiette. Ci sono i recinti e le vasche vuote. A guardarle ridotte così mi sono sembrate enormi cicatrici scoperte, segni di un tempo che fu e che (da un lato per fortuna, almeno per gli animali) non sarà più.
C'è chi parla di feste, iniziative e ne sono state organizzate tante, nel tempo, in questo che è poi uno spazio di verde bellissimo, proprio accanto al Po, dalla parte di Corso Casale.  Ma sembra passato molto, moltissimo tempo dall'ultimo mercatino solidale o dall'ultimo party per bambini. E mi chiedo se non sarebbe possibile, almeno, impedire un tale sfascio, una così perpetua incuria da parte di chi si fa portatore di messaggi fondamentali a colpi di spray. Basterebbe raccogliere le foglie, verniciare gli steccati, riattivare la fontanella, per vedere frotte di persone contendersi le panchine all'ombra degli alti alberi, per vedere persone come me, che magari ci sono state vent'anni prima, tornare allo zoo a leggere un libro di fiabe ai figli. Ma non si fa, perchè tutto costa e non ci sono mai  i soldi per niente. E così si perdono le cose, così si perdono i ricordi. Qualche giorno fa però è saltata fuori una proposta ambiziosa:  lungo le rive del Po dovrebbe  sorgere un’area multiuso, con verde attrezzato e solarium, giochi per i bambini, laboratori polivalenti, la biblioteca, un teatro e attrezzature sportive. Dovrebbe diventare la prima area verde urbana totalmente ecoefficiente, con tutte le attività alimentate da energia «carbon zero» e tutte le strutture governate da un sistema intelligente di controllo e regolazione dei consumi. In Parco Michelotti dovrebbero trovare posto un mix di energie pulite: dall’idroelettrico al riscaldamento geotermico; dal fotovoltaico al raffrescamento eolico.

Ecco, se tutto ciò dovesse realizzarsi, io andrò personalmente a chiedere scusa all'amministrazione comunale.Ma nel frattempo no. Nel frattempo cerco di ricordare cosa c'era in quella gabbia dietro le mie spalle in quella foto di tanti anni fa .



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